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Buongiorno lettori! Oggi la protagonista dell’intervista con l’autrice è colei che di solito sta dalla parte “facile”, quella che fa le domande e ascolta le risposte. A porle le domande del caso ci hanno pensato Marta, Tina e Francesca.

Da dove arriva e quando arriva l’idea di “Un ago simile”?

La realtà carceraria mi sta a cuore da anni. Ho la tendenza a somatizzare anche i dolori degli altri e proprio non ci riesco a rassegnarmi all’idea di non poter fare nulla. Ecco perché, a un certo punto – non saprei dire bene quando – ho deciso che avrei cercato di raccontare la sofferenza di chi è recluso in un carcere. Avevo un tema e subito dopo ho trovato una protagonista, però faticavo a immaginare il resto. E la situazione è rimasta la stessa finché non mi sono laureata. Ho avuto una sorta di illuminazione mentre rileggevo la tesi che avevo scritto sulla tutela del diritto all’informazione all’interno delle carceri. A quel punto ho capito che il contesto che cercavo per sviluppare il tema del mio romanzo è sempre stato sotto ai miei occhi.

Perché trattare un tema così insolito per il romance?

Mi piace mettermi in difficoltà. Lascio che a guidarmi sia sempre il solito principio, che ormai è diventato un ritornello e fa più o meno così: “se riesco a fare bene in questo ambito così complesso, potrò ritenermi davvero soddisfatta”. Con “Un ago simile” ho seguito lo stesso mantra. Sarebbe stato più semplice ambientare una storia d’amore in un contesto diverso e omettendo la realtà carceraria, ma avrei deluso me stessa.

Com’è nato il personaggio di Marisol?
Marisol è nata ventisei anni fa. Con me. Marisol è Annalisa per mille e più motivi: dai gusti musicali al modo di pensare. È il mio riflesso in tutto quello che fa e dice. Con l’unica differenza che lei più diplomatica, questo sì. In certe situazioni Annalisa avrebbe “scapocciato” (come si dice qui a Roma). Sia chiaro, però, #UAS non è un romanzo autobiografico, ma ruota attorno agli stessi ideali che hanno plasmato la mia persona. È stata anche una scelta a risparmio energetico, se vogliamo; d’altronde chi mi conosce sa che sono sostanzialmente una pigrona. Ho pensato a quante energie avrei impiegato per definire tutti gli altri personaggi e ho voluto rendermi la vita facile almeno nella caratterizzazione della protagonista. E poi avevo bisogno di Marisol. Sono anni che mi ritrovo a parlare di detenuti e dei loro diritti da sola, davanti a delle persone che il più delle volte mi guardano accigliate. Era il momento che qualcuno mi aiutasse a portare ‘sto fardello e a Marisol è toccato questo compito poco lusinghiero.  

Quali altre caratteristiche condividi con gli altri personaggi?

In Abel c’è un altro pezzo di me. Fino a pochi anni fa, proprio come lui, anche io avevo il vizio di non alzare lo sguardo mentre parlavo con qualcuno. C’era mia nonna che mi rimproverava spesso e mi ripeteva che qualcuno avrebbe potuto scambiarlo per un atteggiamento maleducato. “Alza ‘sto sguardo”, mi ripeteva. Ma io ero timida e continuavo a tenere gli occhi bassi. Poi a un certo punto mi sono messa in testa di diventare una giornalista e, ahimè, ho dovuto debellare quella brutta abitudine.

 Nel romanzo descrivi tanti tipi di amore: tra nonno e nipote, padre e figlio, di Marisol per la giustizia e la verità… Per te cos’è l’amore??

Non ne ho la più pallida idea, so solo che ogni definizione sarebbe fallace. L’amore è astratto, sta tutto attorno. È una presenza che non puoi afferrare, ma che sai avvertire. Un po’ come Dio, no? C’è chi crede e riesce a dormire tranquillo la notte. Ecco, nel mio caso è l’amore a permettermi di andare a letto serena e di svegliarmi la mattina con la stessa sensazione.

Oltre agli articoli giornalistici avevi già scritto altre storie o #UAS è la tua prima esperienza in assoluto?

Beh, in realtà spesso i miei caporedattori mi hanno offerto l’occasione di raccontare delle storie e a lungo andare quelli sono diventati gli articoli che preferivo. Poi qualcuno ha iniziato a farmi notare che avrei potuto adattare la mia penna anche alla narrativa e ho deciso di provarci. Ma Un ago simile non è stato il mio primo tentativo. Ebbene sì, anche io durante l’adolescenza non ho saputo resistere alla voglia di pubblicare una storia originale su EFP. Però non l’ho completata e spero che nessuno la trovi mai… anche se il mio editore, che è peggio di Sherlock, l’ha già letta. Che vergogna…

La figura di Luigi trasuda amore da ogni poro e a doppio binario: lui verso Marisol e viceversa. Quanto c’è di Annalisa in quell’emozione che trasmetti ai lettori?

Per definire e dare forma al rapporto tra Luigi e sua nipote sono partita da una domanda: “Come mi comporterei se la persona più importante della mia vita, nelle cui vene scorre buona parte del mio sangue, finisse dietro le sbarre più e più volte?” Ecco, io credo che quando a unirti a qualcuno c’è un legame così forte, lo sbaglio venga dopo. Certo, ne tieni corto, non lo puoi ignorare… Ma prima di condannare e cancellare la persona “sbagliata”, ti rapporti con quella amata.

Quali sono i cambiamenti che dovrebbero essere apportati nelle carceri nell’immediato futuro?

I cambiamenti più importanti dovrebbero riguardare ciò che ha un impatto nel ridurre il senso di isolamento. Chi finisce in carcere viene giustamente privato della propria libertà ed è una delle rinunce peggiori per l’essere umano. La pena però non dovrebbe coincidere anche con la privazione degli affetti. Bisogna fare il possibile per tenere in piedi il ponte che collega il carcere alla società. La Costituzione Italiana sancisce che la pena è rieducativa e questo ci lascia credere che uno dei suoi scopi ultimi sia anche permettere al detenuto di riappropriarsi dell’umanità che ha perso commettendo un certo reato. Se questo processo non si innesca, una volta fuori chi ha sbagliato ricadrà ancora nello stesso errore. Come si rieduca? Permettendo al detenuto di studiare, lavorare, leggere, informarsi, creare, e di professare il proprio credo… Quindi, ancora una volta, evitando di isolarlo dal resto del mondo. Vorrei concludere insistendo sull’importanza dell’informazione da e sul carcere. Anche noi, come società, dobbiamo fare la nostra parte per non alzare un muro ancora più alto attorno ai penitenziari. Dobbiamo esigere di sapere cosa accada lì dentro per scongiurare il rischio che il carcere diventi uno stato a sé con una legislazione a parte.

Marta, Tina, Francesca

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